CONCORSO ORECCHIETTA D’ORO

Al concorso Orecchietta d’oro tutti possono partecipare gareggiando in una oppure in due categorie: RITROVA e REMAKE.

RITROVA
Inviaci una FIABA POPOLARE ITALIANA della tua memoria, che ti è stata raccontata –anche in dialetto- ad esempio dalla mamma, dai nonni o dai vicini di casa: una fiaba “antica”, possibilmente mai pubblicata, legata alla tradizione: vince la fiaba più sconosciuta.

REMAKE
Scegli una FIABA, magari la tua preferita, e immaginala con un finale diverso, un tuo finale: intervieni sul testo originale ribadendo o modificandone l’esito, la morale.
Inviaci le due versioni, quella classica e quella con il finale reinventato da te: vince il finale più originale.

Domenica 25 agosto alle ore 23,30, nella serata conclusiva del Festival dei Sensi, le prime classificate di entrambe le categorie verranno lette dall’attore Paolo Panaro

(Masseria Capece, Cisternino, segnalato nella mappa con la lettera C).

Premio: la tshirt Orecchietta d’Oro appositamente realizzata + il volume Federico Patellani, Parlavamo di bellezza, Reportage edito da Contrasto e Corriere della Sera.

Consegnano i premi:

per la categoria RITROVA: Laura Marchetti, a capo della giuria selezionatrice.

per la categoria REMAKE: Armando Massarenti, a capo della giuria selezionatrice.

Scopo del concorso è anche quello di iniziare ad acquisire materiale narrativo proveniente dalla tradizione popolare di tutte le regioni, per capire se in Italia esiste ancora una tradizione fiabesca: fiabe che emergono dalla memoria o sono nascoste in qualche cassetto, dimenticate.

Qualche nonno, qualche zio, un amico te l’ha raccontata?  SCRIVICI !

Utilizza unicamente il modello allegato, indicando nome, cognome, indirizzo e telefono dove e quando è stata recepita la fiaba in questione

eventuali informazioni supplementari

invia a segreteria@festivaldeisensi.it

ricordati di indicare nell’oggetto la/e categoria/e in cui gareggi: RITROVA / REMAKE

Il concorso Orecchietta d’oro inizia il 22 luglio e si chiude alla mezzanotte del 22 agosto.

PRIMI CLASSIFICATI

Categoria REMAKE

Valeria Dell’Era

1)      VERSIONE ORIGINALE DELLA FIABA

Le mie tre belle corone

C’era una volta una lavandaia che aveva una figlia. Un giorno questa lavandaia andò a consegnare la biancheria, poi tornò a casa e le venne freddo; prima di coricarsi prese una grossa pagnotta, una bottiglia d’olio, li diede alla figlia e le disse: “Figlia mia, io me ne vado all’ospedale. Qua c’è il pane e l’olio per mangiare.” La chiuse dentro e s’infilò le chiavi in tasca. All’ospedale fu assalita da forti febbri; allora si confessò, consegnò le chiavi al confessore e gli disse: “Padre, ho una figlia, e muoio disperata per la paura che possa rimanere in mezzo a una strada.” “Figlia” rispose il confessore, “non dubitare, che a tua figlia ci penserò io: me la porterò a casa mia e starà con mia madre e mia sorella.” La lavandaia morì, ma a tutto pensò il prete, tranne che ad aprire la porta di casa alla ragazza. Venne il sabato; la madre svuotò le tasche al prete per lavargliele e vide la chiave. “Figlio mio” disse, “e questa chiave?” “Come ho potuto dimenticarmene!” disse il prete. Prese le chiavi e corse ad aprire alla ragazza; come infilò la chiave nel buco della serratura, la ragazza esclamò: “Mamma!” ma vide il prete; “Zitta figlia mia” disse il prete, “che tua madre è a casa mia.” Come arrivò a casa del prete, chiamò: “Mamma, mamma!”, ma la madre non compariva; all’ultimo le dissero che sua madre era in Paradiso. La povera fanciulla non poteva darsi pace e voleva sua madre. Fece una giravolta e corse per la campagna. Cammina di qua, cammina di là, vide un palazzo tutto cupo, a cominciare dal portone, fino ai balconi. Entrò e vide delle stanze enormi; entrò in cucina e vide tanto ben di Dio. Andò nell’altra stanza e vide che era tutto gambe all’aria: prese una scopa e si mise a ripulire l’entrata. Dopo la pulizia delle camere, pulì i lampadari, sbatté i materassi, cambiò la biancheria, rifece i letti e fece risplendere quel palazzo come l’oro. Poi, rientrò in cucina, prese una gallina e si mise a fare il brodo; illuminò le stanze e infine si nascose. A mezzanotte in punto udì una voce esclamare: “Oh, le mie tre belle corone!” e la voce si avvicinava al palazzo. Entrò una signora e disse: “Oh, signore, a chi devo tanta grazia? Vieni qua, figlio mio, vieni qua figlia mia! Se sei uomo ti prendo per figlio, se sei donna il signore ti benedirà.” E chiamava. Sentendo dir così, la fanciulla uscì e le si gettò ai piedi; non appena la vide, la signora le disse: “Le mie tre belle corone! Oh figlia mia, il Signore ti benedirà per il bene che mi hai fatto! Io esco la mattina cercando i miei tre bei figlioli. Tu, qua, figlia mia, sarai padrona: le chiavi sono nel buco della serratura; tu fa’ pure come se fossi a casa tua.”

Un giorno che stava da sola, si mise a girare per il palazzo; girando girando, vide una porticina; l’aprì e vide tre bei giovanotti: gli occhi erano aperti, ma non proferivano parola. S’apprestò a richiudere la porta e disse: “Le mie tre belle corone! Ha ragione la signora! Questi sono i suoi figli.” La sera rientrò la signora sempre gridando: “Le mie tre belle corone!” E quando arrivò al palazzo ripeté: “Figlia mia, Dio ti benedirà per il bene che mi fai!”

Un giorno che s’annoiava, la fanciulla si affacciò al balcone, e guardò in giù verso il giardino; ad un tratto, vide una lucertola con tre lucertoline. Arrivò un’altra lucertola e ammazzò i piccoli. Quando la lucertola madre vide i figli morti cominciò a contorcersi e a sbattersi di qua e di là. All’ultimo prese una certa erba e la strofinò alla prima lucertolina, e quella resuscitò; fece lo stesso con gli altri due e anch’essi resuscitarono.

La ragazza, che era scaltra, vedendo tutto ciò, prese una pietra e la buttò sopra l’erba miracolosa. Scese con un canestro in giardino e colse un po’ di quell’erba. Salita di sopra, aprì la porticina e si mise a strofinare il primo dei tre giovanotti e, strofina strofina, quello riprese vita, e subito disse: “Sorellina mia! Mi hai ridato la vita!” Ella corse in cucina, ammazzò un galletto, fece un po’ di brodo e lo diede al giovane resuscitato, gli sistemò un letto e lo fece coricare. Poi tornò dagli altri due e resuscitò anche loro; anche a loro diede un po’ di brodo e poi li mise a letto. Come i ragazzi si ripresero, cominciarono a domandarle dove fosse la signora Imperatrice. Disse allora la ragazza: “Ah, dunque la signora è Imperatrice!” Si voltò verso i ragazzi e disse: “Voialtri non muovetevi, che la signora ve la faccio vedere io.” Quando la signora tornò disse di nuovo: “Oh le mie tre belle corone!” La fanciulla si mise a chiacchierare, poi le domandò:

“Come mai non siete mai in casa e uscite sempre Vostra Eccellenza?”

“Ah figlia mia, io esco per cercare le mie tre belle corone d’oro.”

“E potreste spiegarmi chi sono queste tre belle corone, Eccellenza?”

“Senti, quando c’era mio marito, io avevo tre figli maschi, ma poi questi tre figli mi sono spariti e io li vado cercando”

“Ora volete farmi un piacere, Eccellenza? Non dovrete uscire più, che i vostri figli ve li faccio ritrovare io.”
“Figlia, dici davvero? “

“Vi dò la mia parola che i vostri figli ve li farò ritrovare io.”

“Quanto tempo ti serve, figlia mia?”

“Otto giorni.”

“Otto giorni, da domani in poi non uscirò più.”

E la ragazza che faceva? Prima dava da mangiare ai figli di nascosto dalla madre, poi serviva l’imperatrice, la pettinava, la vestiva con begli abiti, e le diceva che doveva farsi bella per incontrare i suoi figli, i quali la guardavano dalle fessure della porta, senza farsi vedere. Passati quattro giorni, la ragazza disse all’imperatrice: “Ora, Vostra Eccellenza, potrete fare i vostri inviti, perché domenica incontrerete i vostri figli.” L’Imperatrice pianse dall’emozione e disse teneramente: “Ah, figlia mia, come ti pagherò il bene che mi hai fatto?”

Da grande Imperatrice che era, mandò gli inviti a tutta la nobiltà, e durante tutta la giornata andava baciando la ragazza. Al settimo giorno, felicissima all’idea di rivedere finalmente i suoi figli, disse alla fanciulla: “Senti, figlia mia, se veramente mi farai ritrovare i miei figli, il più grande te lo darò per marito.”

Nei racconti il tempo passa in fretta, e così venne l’ottavo giorno; giunsero gli invitati, tutti i cavalieri, i soldati e tutti i sudditi dell’Imperatrice. Ma ella non aveva ancora rivisto i figli. L’Imperatrice fece indossare alla fanciulla un bellissimo abito, la prese sottobraccio e la presentò a tutti gli invitati, dicendo a tutti che le avrebbe fatto ritrovare i suoi figli. Mentre aspettava, si aprì la porta di una camera e apparvero i tre giovanotti.

Immaginatevi la contentezza! La madre corse ad abbracciarli piangendo di gioia, e la banda cominciò a suonare a festa. Subito mandarono a chiamare il cappellano per celebrare il matrimonio tra il figlio maggiore e la ragazza. Il matrimonio fu celebrato, e tra gli invitati c’erano i migliori Imperatori (tra cui lo sposo, erede al trono del defunto padre.)

 

E furono felici e contenti

Mentre noi siamo qui a pulirci i denti.

 

Fonte: G. Pitrè, Fiabe, novelle e racconti popolari sicilliani”, 1870-1913. Titolo originario: Li tri belli curuni mei, traduzione dall’antico siciliano di Valentina Vetere

2) VERSIONE CON FINALE RIVISITATO
(si precisa che, rispetto all’originale, sono state rivisitate anche alcune altre parti della fiaba, con l’intento di giustificare il finale e, forse, renderlo più avvincente)

Le mie tre belle corone

C’era una volta una lavandaia che aveva una figlia. Un giorno questa lavandaia andò a consegnare la biancheria, poi tornò a casa e le venne freddo; prima di coricarsi prese una grossa pagnotta, una bottiglia d’olio, li diede alla figlia e le disse: “Figlia mia, io me ne vado all’ospedale. Qua c’è il pane e l’olio per mangiare.” La chiuse dentro e s’infilò le chiavi in tasca. All’ospedale fu assalita da forti febbri; allora si confessò, consegnò le chiavi al confessore e gli disse: “Padre, ho una figlia, e muoio disperata per la paura che possa rimanere in mezzo a una strada.” “Figlia” rispose il confessore, “non dubitare, che a tua figlia ci penserò io: me la porterò a casa mia e starà con mia madre e mia sorella.” La lavandaia morì, ma a tutto pensò il prete, tranne che ad aprire la porta di casa alla ragazza. Venne il sabato; la madre svuotò le tasche al prete per lavargliele, e vide la chiave. “Figlio mio” disse, “e questa chiave?” “Come ho potuto dimenticarmene!” disse il prete. Prese le chiavi e corse ad aprire alla ragazza; come infilò la chiave nel buco della serratura, la ragazza esclamò: “Mamma!” ma vide il prete; “Zitta figlia mia” disse il prete, “che tua madre è a casa mia.” Come arrivò a casa del prete, chiamò: “Mamma, mamma!” ma la madre non compariva; all’ultimo le dissero che sua madre era in Paradiso. La povera fanciulla non poteva darsi pace e voleva sua madre. Fece una giravolta e corse per la campagna. Cammina di qua, cammina di là, si cibò di bacche e radici, fino a che si sistemò in un vecchio capanno abbandonato in un bosco, vicino ad un ruscello. Erano trascorsi alcuni anni e, per vivere, decise di fare la lavandaia, come sua madre. Maria la Scuricchia la chiamavano, per via dei suoi capelli corvini, anche se nel villaggio, proprio a valle del Palazzo, molti per la verità avevano capelli neri come la pece. La Scuricchia aveva però anche un colorito olivastro speciale. Tutti dicevano fosse orfana e non avesse parenti. Di sua madre la lavandaia e del prete, che del resto morì poco dopo, nessuno ricordava più nulla. Correva voce tuttavia che un tempo avesse avuto tre fratelli piccoli, che provenisse dal lontano Regno della Slavia sud-orientale, dove il crudele Re, stanco dei troppi sudditi, pare ne avesse cacciati via molti, anni addietro. Viveva quindi così di stenti nella sua capanna in mezzo al bosco e lavava nel fiume i panni dei signori. I suoi panni erano lindi lindi. Pare usasse una cenere speciale, che prelevava da una buca, da lei stessa scavata. Un giorno, cominciava a fare molto freddo, si mise alla ricerca di legna da ardere. Cammina di qua, cammina di là, non molto lontano dalla buca della cenere, le apparve un palazzo tutto cupo, a cominciare dal portone, fino ai balconi. Entrò e vide delle stanze enormi; entrò in cucina e vide tanto ben di Dio. Andò nell’altra stanza e vide che era tutto gambe all’aria: prese una scopa e si mise a ripulire l’entrata. Dopo la pulizia delle camere, pulì i lampadari, sbatté i materassi, cambiò la biancheria, rifece i letti e fece risplendere quel palazzo come l’oro. Poi, rientrò in cucina, prese una gallina e si mise a fare il brodo; illuminò le stanze e infine si nascose. A mezzanotte in punto udì una voce esclamare: “Oh, le mie tre belle corone!” e la voce si avvicinava al Palazzo. Entrò una signora e disse: “Oh, signore, a chi devo tanta grazia? Vieni qua, figlio mio, vieni qua figlia mia! Se sei uomo ti prendo per figlio, se sei donna il signore ti benedirà.” E chiamava. Sentendo dir così, la fanciulla uscì e le si gettò ai piedi, e come la vide, la signora le disse: “Le mie tre belle corone! Oh figlia mia, il Signore ti benedirà per il bene che mi hai fatto! Io esco la mattina cercando i miei tre bei figlioli. Tu, qua, figlia mia, sarai padrona: le chiavi sono nel buco della serratura; tu fa’ pure come se fossi a casa tua.”

Un giorno che stava da sola, si mise a girare per il palazzo; girando girando, vide una porticina; l’aprì e vide tre bei giovanotti: gli occhi erano aperti, ma non proferivano parola. S’apprestò a richiudere la porta e disse: “Le mie tre belle corone! Ha ragione la signora! Questi sono i suoi figli.” La sera rientrò la signora sempre gridando: “Le mie tre belle corone!” E quando arrivò al Palazzo ripeté: “Figlia mia, Dio ti benedirà per il bene che mi fai!”

Un giorno che s’annoiava, la fanciulla si affacciò al balcone e guardò in giù verso il giardino; ad un tratto, vide una lucertola con tre lucertoline. Arrivò un’altra lucertola e ammazzò i piccoli. Quando la lucertola madre vide i figli morti cominciò a contorcersi e a sbattersi di qua e di là. All’ultimo prese un po’ di cenere dei panni della Scuricchia, che si trovava sparsa sull’erba, e la strofinò alla prima lucertolina, e quella divenne linda linda e resuscitò; fece lo stesso con gli altri due e anch’essi sbiancarono e resuscitarono.

La ragazza, che era scaltra, vedendo tutto ciò, scese con un canestro in giardino e colse un po’ della cenere che usava per lavare i panni. Salita di sopra, aprì la porticina e si mise a strofinare il primo dei tre giovanotti e, strofina strofina, quello sbiancò, divenne lindo lindo, riprese vita, e subito disse: “Sorellina mia! Mi hai ridato la vita!” Ella corse in cucina, ammazzò un galletto, fece un po’ di brodo, e lo diede al giovane resuscitato, gli sistemò un letto e lo fece coricare. Poi tornò dagli altri due, sbiancò e resuscitò anche loro; anche a loro diede un po’ di brodo e poi li mise a letto. Come i ragazzi si ripresero, cominciarono a domandarle dov’era la Signora Imperatrice. Disse allora la ragazza: “Ah, dunque la signora è Imperatrice!” Si voltò verso i ragazzi e disse: “Voialtri non muovetevi, che la signora ve la faccio vedere io.” Quando la signora tornò disse di nuovo: “Oh le mie tre belle corone!” La fanciulla si mise a chiacchierare, poi le domandò:

“Come mai non siete mai in casa e uscite sempre Vostra Eccellenza?”

“Ah figlia mia, io esco per cercare le mie tre belle corone d’oro.”

“E potreste spiegarmi chi sono queste tre belle corone, Eccellenza?”

“Senti, quando c’era mio marito, io avevo tre figli maschi, ma poi questi tre figli mi sono spariti e io li vado cercando.”

“Ora volete farmi un piacere, Eccellenza? Non dovrete uscire più, che i vostri figli ve li faccio ritrovare io.”
“Figlia, dici davvero? “

“Vi dò la mia parola che i vostri figli ve li farò ritrovare io.”

“Quanto tempo ti serve, figlia mia?”

“Otto giorni.”

“Otto giorni, da domani in poi non uscirò più.”

E la ragazza che faceva? Prima dava da mangiare ai figli di nascosto dalla madre, poi serviva l’imperatrice, la pettinava, la vestiva con begli abiti, e le diceva che doveva farsi bella per incontrare i suoi figli, i quali la guardavano dalle fessure della porta, senza farsi vedere. Passati quattro giorni, la ragazza disse all’Imperatrice: “Ora, Vostra Eccellenza, potrete fare i vostri inviti, perché domenica incontrerete i vostri figli.” L’Imperatrice pianse dall’emozione e disse teneramente: “Ah, figlia mia, come ti pagherò il bene che mi hai fatto?”

Da grande Imperatrice che era, mandò gli inviti a tutta la nobiltà, e durante tutta la giornata andava baciando la ragazza. Al settimo giorno, felicissima all’idea di rivedere finalmente i suoi figli, disse alla fanciulla: “Senti, figlia mia, se veramente mi farai ritrovare i miei figli, te ne darò uno per marito.” Maria la Scuricchia non era in sé, uno di loro era bellissimo, chissà l’Imperatrice, per ringraziarla, ne avrebbe fatto il suo sposo!

Nei racconti il tempo passa in fretta, e così venne l’ottavo giorno; giunsero gli invitati, tutti i cavalieri, i soldati e tutti i sudditi dell’Imperatrice. Ma ella non aveva ancora rivisto i figli.  Fece indossare alla fanciulla un bellissimo abito, la prese sottobraccio e la presentò agli invitati, dicendo a tutti che le avrebbe fatto ritrovare i suoi figli. Allora Maria la Scuricchia comprese che era il momento, spalancò la porta e disse: “Vostra Eccellenza ecco i vostri tre figli, vivi, nutriti e ben lavati.”

Ma, ahimè, quello che l’Imperatrice vide, in mezzo al chiasso della banda musicale che era lì per festeggiare il lieto evento, furono tre corone d’oro, in cima a tre mucchi di cenere scura.

L’Imperatrice emise un urlo così forte e lunghissimo che attraversò montagne, valli e fiumi. Corre voce persino che qualche contadino lo abbia udito fin nel lontano Regno della Slavia sud-orientale.

Categoria RITROVA

Marilena Vitto

Mamma Sirena

Fiaba narrata da sua nonna, Assunta Calò, a Martano, paese della Grecìa Salentina.
Traduzione a cura di Marilena Vitto e Concetta Giannuzzi (zia novantaseienne della scrivente)

Una volta c’erano due bimbi che rimasero orfanelli dei genitori una bimba e un bimbo due fratellini Allora questi poveretti non avevano da mangiare e non sapevano come fare per campare .
Allora si dissero : “ Andiamo alla riva de al mare per raccogliere un po’ di cozze per venderle e comprare una piccola pagnotta per mangiare” .
Sono andati quando tornarono girarono per il paese per vedere se le potevano vendere si misero davanti al palazzo reale dove alcune serve li videro e dissero:
“ Come sono belle queste cozze vediamo se ne vuole un po’ il re”.
Quando il re le vide disse: “ Come sono belle queste ma chi le ha portate?”
“ Due orfanelli “- risposero le serve
Le serve chiesero ai due orfanelli perché avessero raccolto quelle cozze
“ Non abbiamo la mamma , non abbiamo il papà e siamo andati a cercare le cozze un po’ di cozze per venderle e comprare una piccola pagnotta per mangiare perché andiamo morti di fame” . “ Uh – dissero quelle- poveretti poveretti”
“ Se trovassi – disse il ragazzo – un posto in cui servire e ci dessero un po’ da mangiare non vorrei niente altro.”
Andarono dal re e glielo dissero
“ Ehi disse il re: “ Quei ragazzi poveretti devono morire di fame? Ditegli di restare qui dategli da mangiane fino a saziarsi poi a lui fate portare le papere in riva al mare per mangiare e poi le torna a palazzo.
Quello prese le papere e andò con la sorella in riva al mare ma mamma Sirena vide che la ragazza era molto bella allungò la mano e la trascinò nel mare legandola ad una catena.
Quel poveretto del fratello che poteva fare più? Quella da dentro al mare non la mollava e lui se ne doveva tornare solo al palazzo e in riva al mare piangeva e diceva “ Ahimè sorella mia come debbo fare ad andare a casa mia “
E la sorella:“ Mamma sirena, mamma sirena allentami allentami la catena che è venuto il caro mio fratello che lamenti sta facendo”
La Sirena disse: “ Vai, vedi e parla con tuo fratello”
La sirena le allentava la catena e lei poteva uscire a parlare con suo fratello e quando usciva dal mare usciva tutta bagnata dalla gonna le colavano gocce d’acqua che cadendo diventavano perle d’oro . Le papere le mangiarono e ogni volta che facevano la cacca uscivano perle d’oro.
Per la strada cantavano: “ Paraparapa alla marina noi siamo stà e la sorella del pastore pere e rubinici ha dato a mangià . “
Tutti si meravigliavano e si chiedevano cosa fosse quella cosa
Le oche entrarono cantando al palazzo del re e anche lui disse.” Cosa è questa cosa? Tua sorella dove sta?
“Me l’ ha presa la mamma sirena, ha allungato la mano e l’ha presa”
Vai – disse il re- “ se non me porti la sorella al palazzo ti uccido i coltelli sono limati e i recipienti sono preparati.”
Il giorno dopo il poveretto prese le papere, si recò in riva al mare e disse:” ende’ nde’ sorella mia il l re vuole uccidermi , i coltelli sono limati e i recipienti sono preparati.
.La sorella poveretta, quando lo sentì cominciò a dire: “ Mamma sirena, mamma sirena allentami allentami la catena che è venuto il caro mio fratello che lamenti sta facendo”
La mamma sirena le allentava la catena dicendole:” Vai saziati di stare con tuo fratello.”
Uscì nuovamente dall’acqua con le vesti bagnate e le papere mangiarono di nuovo l’acqua che gocciolava dal suo abito e si trasformavano in perle.
Poi la sirena tirò la catena e riportò la ragazza nel mare .Quando il fratello tornò a palazzo il re gli chiese perché la sorella non fosse con lui e lui rispose che la sorella era uscita dal mare ma la mamma sirena l’aveva di nuovo tirata in acqua.
Il re disse al ragazzo : ” Tu devi dire a tua sorella di chiedere a mamma sirena se c’è un modo per scappare. Deve dire: “ Io non voglio scappare, con te sto bene. Non voglio andare via. Ma se volessi fuggire potrei farlo?”
Così il poveretto tornò in riva al mare e disse : Nde’ nde’ sorella mia il l re vuole uccidermi , i coltelli sono limati e i recipienti sono preparati.”
La poveretta quando lo sentì disse:” Mamma sirena, mamma sirena allentami allentami la catena che è venuto il caro mio fratello che lamenti sta facendo .”
Appena vide la sorella disse :” Domandale se c’è modo di scappare ”
Uuhm – disse la sorella: “ come faccio a scappare con questa catena”
Tornata in acqua le chiese mamma sirena: Hai parlato con tuo fratello? Ti sei saziata ?
Rispose: “ Si , io sto bene con te e quello mi viene a scocciare.. Io non voglio scappare, con te sto bene. Non voglio andare via. Ma se volessi fuggire potrei farlo?”
“Il modo c’è ma non potrai mai mai scappare perché si devono trovare cento uomini con cento grandi mazze e devono colpire tutti insieme il centro della catena. “
La ragazza riferì tutto al fratello che a sua volta lo riferì al re
E il re disse : “Questo è tutto? Ci penso io”
Il giorno dopo il ragazzo tornò al mare portando le papere e cento uomini con cento grandi mazze pronti a colpire. . Si ripeté il solito dialogo
“ Nde’ nde’ sorella mia il l re vuole uccidermi , i coltelli sono limati e i recipienti sono preparati.
“Mamma sirena, mamma sirena allentami allentami la catena che è venuto il caro mio fratello che lamenti sta facendo” .
Lei chiese a mamma sirena di allungarle la catena perché potesse passeggiare con il fratello. In quel momento all’improvviso cento uomini con cento grandi bastoni si lanciarono contemporaneamente sulla catena spezzandola , afferrarono la ragazza, la misero su una carrozza e la portarono a palazzo.
Il re quando la vide così bella disse: “ Chi è questa. Quanto è bella! Le vostre pene sono finite”
Al fratello disse: Tu resterai con me a corte
Poi disse alla ragazza: “Domani tu sarai la sposa mia”
E lei disse al re “ Oggi e domani tu sarai il mio sposo”
E da quel giorno vissero felici e contenti sempre ricchi e mai pezzenti.